Quando Papaji era ancora bambino sua madre, un’ardente devota di Krishna, organizzava serate di Kirtan a casa sua con le sue amiche e altre devote. Anche Papaji era solito partecipare entrando in stati di estasi per tutta la durata del programma e oltre.

Il Canto a casa del Maestro era parte del quotidiano.

Papaji amava cantare e ascoltare il canto del cuore.

Lui ci insegnava i bhajans (canti devozionali) che amava di più, tutti in lingua hindi e poi, noi fortunati devoti, li cantavamo durante i satsang. A volte mi chiedeva di cantare per lui quando eravamo solo noi due nella sua camera. Che immensa grazia! Che momenti splendidi. Grazie Amato Maestro.

Papaji mi ha insegnato molti bhajans. Per me erano momenti sacri in cui sentivo l’amore del Maestro scorrere forte nelle mie vene. Papaji gradiva che capissi il significato e che lo esprimessi, mentre cantavo, con gesti delle mani.

Ogni Canto che il Maestro mi ha personalmente insegnato è stato per me fonte di profondo insegnamento. Sentivo il significato del Canto penetrare nel mio cuore e nel mio spirito e sapevo che erano orme dorate che Papaji mi offriva, su cui poter poggiare i prossimi passi vivendo al suo cospetto.

Ricordo vivamente, come fosse oggi, il primo Canto che mi insegnò. Era un Canto di Krishna che diceva: “Nella grotta del cuore c’è un tempio, ove la mente riposa in meditazione e contemplazione sul sacro idolo di Krishna…”. Quanta beatitudine nel cantarlo per lui!!!

Ho sempre amato il canto sin da bambina. I miei genitori nelle calde serate estive erano soliti sedersi nel giardino di casa con tutti noi fratellini e cuginetti e cantare insieme canzoni d’amore di quel tempo. Erano momenti straordinari dell’infanzia che ricordo ancora con le lacrime agli occhi per l’amore che sentivo in quei momenti.

Però…i Canti con Papaji erano tutt’altro… mi trasportavano alla fonte stessa dell’amore, in quel luogo ove il Musico celeste orchestra ogni nota sublime nell’intero cosmo.
Il Canto del Maestro silenzia mente e cuore sintonizzandoli ad un profondo senso di armonia che modifica la coscienza individuale allineandola a quella divina.

Tornata in occidente, dopo la dipartita di Papaji, quei bhajans furono per me come una culla su cui mi accoccolavo volendo sentire vivo l’amore che il Maestro mi ha generosamente donato.

È stato ed è tutt’ora una freccia che non solo continua a colpire il mio cuore, ma colpisce il cuore di chi ascolta (col cuore).
Il Canto è diventata una parte importante del mio insegnamento così come lo è stato per me nella dimora di luce dell’amato Maestro.

Il Kirtan o Kirtanam è un importante aspetto dello yoga. Fa parte del nada yoga, lo yoga del suono, in cui vengono prodotte onde sonore che seguono diverse frequenze e vibrazioni atte a rendere la mente più focalizzata, pura, serena e ricettiva.

Durante il canto dei Kirtan la mente si ferma, il cuore si alleggerisce e si entra in uno stato di assorbimento meditativo di profondo silenzio e pace.

Il Kirtan si canta in gruppo con accompagnamento di strumenti musicali che favoriscono l’accesso al regno delle celestiali melodie: il suono echeggiante di una grossa conchiglia, il battito di un mridang (un tipo di tamburo), il ritmo inebriante del tabla (percussioni tradizionali), la dolce vibrazione di una vina (strumento a corda), il fascino irresistibile di un flauto, tutti condotti dal saggio harmonium (organo a tastiera).

Luce – Trasformazione – Amore

KIRTAN E MEDITAZIONE

I Kirtan possono essere chiamati anche canti estatici in cui semplicemente viene richiesto di “liberare la propria voce” per provare e far provare gioia. Dall’assorbimento nel canto scaturisce un’energia e una gioia sconfinata, unite ad un grande senso di libertà. La voce diventa “vera” proprio perché la libertà nel canto libera la voce e ci fa provare gioia. Si sprofonda nel suono della nostra voce naturale e da lì ogni meraviglia viene sperimentata.

Il Kirtan insegna ad annullarsi e nell’annullamento del cantante il meditante-cantante si può tramutare in suono, in armonia, in musica. Il Kirtan è una pratica formidabile per trasformare la posizione incentrata sull’ego, dove tutto ruota intorno alla figura del musicista e cantante in quanto divo, mito moderno, star. Nel Kirtan, difatti, lo scenario è radicalmente opposto: il musicista verrà riconosciuto ed apprezzato per la sua capacità a “perdersi” nel canto e nel suono così da permettere alla musica di affiorare.
Il potere del Kirtan è innegabile e una volta che il meditante lo ha sentito subisce un cambiamento notevole nella sua spontaneità, nell’affrontare la vita sia interiore che esteriore.
Questo antico sentiero spirituale è stato adottato da grandi saggi e santi di ogni tradizione.

Mira Bai, una grande devota di Krishna, raggiunse l’illuminazione e suprema beatitudine nel ricordare e cantare il sacro nome del suo Signore.

C’è una bellissima storia di Akbar, il grande imperatore dell’impero Moghul vissuto nel 1600.
Akbar amava riunire a corte i più rinomati artisti e uomini illustri. Tra questi spiccava il grande Miyan Tansen, compositore eccezionale considerato ai suoi tempi una vera e propria leggenda musicale.

Un giorno l’imperatore chiese a Tansen di eseguire il raga della notte nel mezzo di una giornata di pieno sole. I raga sono composizioni musicali in stretto legame vibrazionale con determinati orari del giorno, stagioni, momenti della vita e luoghi.

La richiesta dell’imperatore era inadeguata in quel momento del giorno in cui si desiderava che fosse eseguita e Tansen rifiutò, però l’imperatore insistette e Tansen iniziò il suo canto. Si narra di un’improvvisa scomparsa del sole e il calare della notte nel bel mezzo del giorno! Akbar rimase stupito dall’effetto del potere del canto di Tansen e chiese chi fosse il suo Maestro.

Tansen lo portò nell’eremitaggio dello Swami Haridas il quale si rifiutò di ricevere l’imperatore. Così Akbar si nascose nella foresta vicina ed attese che Haridas cantasse. Quando Haridas iniziò a cantare l’imperatore sprofondò in una profonda estasi completamente immemore di se stesso. Tornato allo stato normale di consapevolezza chiese a Tansen: “Come mai quando ho sentito cantare te ho provato immensa gioia, però quando ho sentito cantare Haridas sono sprofondato in uno stato di totale beatitudine? Perché questa differenza di profondità?”.

Tansen rispose: “Perché Tansen ha cantato per l’imperatore, ma Haridas canta per Dio”.

Il canto estatico del Kirtan è carico di energia divina. Va lasciato entrare nel corpo, che tocchi ogni cellula del corpo, che raggiunga la vera fonte del silenzio. Quando si canta durante il Kirtan c’è luce, trasformazione e amore.

È un luogo di rifugio, un’oasi in cui la mente riposa. Non è una scappatoia, diniego o repressione, ma un amico sereno che ha il potere di sradicare il velo di maya e condurci al cospetto dell’assoluto.

Una chiave preziosa per accedere con facilità alla pace e alla beatitudine.

Partecipare ai Kirtan è un’esperienza mistica e misteriosa.

Ci viene semplicemente richiesto di abbandonarci con fede e sperimentare la bellezza trascendentale del suono che penetra nel profondo del cuore.

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