………..Così la sete della vita viene calmata con bevande che raddoppiano la sete; ma colui che è saggio strappa dalla sua anima questo Trishna, non nutre più i falsi spettacoli, impegna la sua ferma mente a non cercare, a non sforzarsi, a non cadere nell’errore, sopportando docilmente tutti i mali che fluiscono da errori di un lontano passato e frena le passioni, cosicché esse muoiono per mancato nutrimento.
Cosicché tutta la somma della vita, Il Karma -tutto quell’insieme di un’anima che consiste delle cose che fece, dei pensieri che ebbe, il “sé”, che fu tessuto con collane di invisibile tempo, tessuto nell’ordito non scrutabile degli atti- non diventi puro e senza peccati; cosicché non abbia mai più bisogno di trovare un corpo e un luogo o che la nuova esistenza trovi il fardello sempre più leggero, per diventare inesistente e così “terminare il Sentiero”.

Libero dagli inganni terreni, sciolto dalle armature della carne; spezzati i legami -gli Upandanas- salvato dal vorticoso girare della ruota; risvegliato sano come un uomo uscito da odiosi sogni; finché -più grande dei Re, più felice degli dei!- termina la folle agonia del vivere e la vita scorre, al di là della vita in una quiete senza nome, in una gioia senza nome, nel beato Nirvana- al di là dei peccati, nel perfetto riposo- in quel cambiamento che non cambia mai!

Ecco!
L’alba si leva con la vittoria di Buddha!
Ecco!
All’oriente fiammeggiarono i primi fuochi di un magnifico giorno che si riversano attraverso le fuggevoli pieghe del nero mantello della Notte.

In alto, nel vasto blu, la stella del mattino sbiadiva in un pallido argento, mentre si levavano sempre più brillanti strisce di un chiarore rosato.

In lontananza, le colline in ombra videro il grande Sole e prima che il mondo ne fosse consapevole le loro creste si rivestirono di cremisi; i fiori, uno dopo l’altro, cominciarono a sentire il caldo alito del mattino e ancora dischiusero i loro teneri petali.

Sull’erba lucente si allungava a rapidi passi la graziosa luce, volgendo le lacrime della Notte in gioiose gemme, decorando la terra di splendore, ricamando le nuvole di tempesta con un orlo dorato mentre svanivano; rilucendo come oro sulle palme che ondeggiavano in felice saluto; scoccando raggi d’oro nelle radure; toccando con magica bacchetta il fiume, traendone riflessi color rubino; trovando nella macchia i dolci occhi delle antilopi, dicendo loro: “È giorno”,
toccando, nei nidi, le piccole teste coperte da molte ali e sussurrando loro: “Figli, lodate la luce del giorno!”

Al che tutti gli uccelli cinguettarono le loro canzoni!
La canzone flautata del koil, l’inno del bulbul, il “mattino” del tordo, il cinguettio dell’uccello-sole che si slanciava a trovare il miele mentre le api erano fuori, il gracchiare del corvo grigio, l’urlo del pappagallo, i colpi del picchio verde, il trillo del myna, i discorsi d’amore senza fine delle colombe; sì! così santa era l’influenza di quella elevata alba in cui giunse la vittoria, lontano e vicino, si sparse una pace sconosciuta.

L’assassino nascose il suo coltello; il rapinatore abbandonò la sua preda; l’usuraio tralasciò il suo interesse; tutti i cuori malvagi diventarono gentili, i cuori gentili ancora più puri, mentre il balsamo di quel divino albeggiare illuminava la Terra.

I Re impegnati in crudeli guerre annunciarono una tregua; gli uomini ammalati si alzarono ridendo dai loro letti di dolore; il morente sorrise come se sapesse che quel Felice Mattino era sgorgato da fontane più lontane del lontano Oriente; e nel cuore della trista Yasoshara, che sedeva sconsolata sul letto del Principe Siddhartha, venne improvvisa la beatitudine come se l’amore non potesse fallire, né il dolore mancare di terminare nella gioia.

Il mondo era così contento -sebbene non sapesse perché- che negli aridi deserti risuonarono canzoni di gioia, la voce dei Preta e dei Butha (spiriti e fantasmi) senza corpo che annunziavano il Buddha;
e i Deva, gli dei, nell’aria gridavano: “È finito, è finito!”
E i preti stettero con il popolo meravigliato nelle strade ad osservare quegli splendori dorati che inondavano il cielo, dicendo: “Dev’essere accaduto qualcosa di grandioso.”

Persino nella giungla, quel giorno, crebbe l’amicizia tra le creature: il daino maculato pascolava senza timore dove la tigre nutriva i suoi cuccioli e il chitah, il leopardo, lambiva lo stagno al fianco del cervo; sotto la roccia dell’aquila scorrazzavano le lepri brune, mentre il suo crudele becco riposava sotto un’ala oziosa; il serpente riscaldava i suoi gioielli al raggio del sole con le mortali spine ritirate; il falcone lasciava passare il fringuello; gli alcioni di smeraldo sedevano sognanti mentre i pesci giocavano al di sotto; il merlo non sfrecciava più sebbene le farfalle – cremisi, blu e ambra – svolazzassero numerose attorno al suo ramo.

Lo Spirito del Buddha si distendeva potente sull’uomo, sull’uccello e sulla bestia, anche mentre egli meditava sotto quell’albero della Bodhi, glorificato dalla Conquista, guadagnata per tutti e illuminato da una Luce più grande di quella del Giorno.

Poi egli si alzò – radioso, beato, forte – al di sotto dell’Albero elevando alta la sua voce parlò così, affinché tutti i Tempi e tutti i Mondi udissero:

MOLTE CASE DI VITA MI TRATTENNERO, MENTRE SEMPRE HO CERCATO COLUI CHE CREÒ QUESTE PRIGIONI DEI SENSI, PIENE DI DOLORE;

SOFFERENTE FU IL MIO INCESSANTE SFORZO!

MA ORA, COSTRUTTORE DI QUESTO TABERNACOLO, – TU! – TI CONOSCO!

NON COSTRUIRAI MAI PIÙ QUESTE MURA DI DOLORE, NÉ RIALZERAI IL TETTO E L’ALBERO DEGLI INGANNI, NÉ POSERAI NUOVE TRAVI SULL’ARGILLA;

È CROLLATA LA TUA CASA E L’ARCHITRAVE È SPEZZATA!

ERA STATA FORMATA NELL’ILLUSIONE!

SICURO MI INCAMMINO OLTRE PER OTTENERE IL RISCATTO.

estratto dal libro
Buddha la Luce dell’Asia di Sir Edwin Arnold
Ed. Il Punto d’Incontro